giovedì 27 settembre 2018

Nonno

Se penso ad una vita avventurosa e piena di curiosità penso a mio nonno.
E se penso a mio nonno penso ad una vita piena, intensa, VISSUTA. Cerco di immaginarmelo bambino, nato all'inizio del XX secolo (nel 1910,per la precisione) da una coppia semplice, forse povera , ma che non si poneva problemi o remore a mantenere una di quelle belle famiglie numerose di un tempo, composta da quello che tanto tempo dopo sarebbe diventato mio nonno e ben cinque suoi fratelli. ( Ce ne sarebbe stata una in più, ma morì quando era ancora piccolissima ma queste cose ai tempi, ahimè, non erano poi così rare).

Lo immagino bambino, in giro perla strada vestito magari un po' male e a piedi nudi che gioca per le strade polverose con fratelli e amici, che corre nei campi di Mezzanego; che gioca con animaletti vari come grilli, rane, cavallette e serpentelli che magari tortura anche un po'; lo immagino giocare con legnetti e pietre e creare chissà quali grandi eventi e storie grazie ad una fervida fantasia. Sono gli anni della Prima Guerra Mondiale, lui è ancora un giovanissimo bambino ma sicuramente troppo sveglio per non capire cosa stia succedendo "intorno". Ma lui vive la sua infanzia, facendo scherzi ai fratelli e tormentando i genitori con marachelle sempre nuove. Si fa anche espellere da tutte le scuole del Regno d' Italia, se non ricordo male per aver insultato (e preso a sassate?) un maestro.  (Da vecchio lo raccontava anche con un tono misto fra dispiacere ed un certo orgoglio).
Si capisce già da questi esordi che era e sarebbe restato per sempre un tipo fuori dagli schemi.

Non so in che anno, la famiglia si trasferisce a Chiavari, in Piazza Mazzini. In una casa all'ultimo piano dove Armando (mio Nonno), i suoi fratelli Mario, Giovanni, Vittorio e Luigi vengono accuditi dalle cure dell'unica sorella (la zia Maria) continuano indefessi a combinare piccoli dispetti e scherzi più o meno innocui. Per esempio: Maria prepara il dolce e lo mette sul davanzale della finestra per farlo raffreddare? (non avevano certo il frigorifero!) Loro lo mangiano tutto e poi lavano la teglia e le fanno credere di non averlo mai cucinato. Oppure danno la colpa al gatto per aver fatto cadere dei vasi dal tetto (rischiando di colpire chi passa in piazza).

Passano gli anni, i ragazzi crescono e "fanno carriera" Vittorio lavora in fabbrica, Giovanni costruisce case, Mario lavora in banca, Luigi diventa dentista e il nonno orefice.
Anche da ragazzi la voglia di scherzare non passa, la mia memoria purtroppo è pessima per cui ricordo a malapena la storia di una macchina che erano riusciti a "rubare" per un tratto di strada perché per farla partire bisognava fare ruotare una sorta di manovella esterna. Ma ogni volta che passo da "Terrarossa", ogni SINGOLA volta, io ricreo con la mente l'ambientazione di uno dei racconti di mio nonno. Immagino un tendone in un grande spiazzo, tanti ragazzi che ballano ed una che fa un po' la smorfiosa e si crede chissà chi, Poco più in là c'è mio nonno ragazzo con un gruppo di amici, ridacchiano. Poi mio nonno si avvicina alla ragazza e le offre un cioccolatino che lei accetta volentieri senza accorgersi che mio nonno ci ha messo del blu di metilene ("sai, è inodore e non ha gusto, ma macchia tutto di blu"). La "smorfiosa" sorride felice ai ragazzi, inconsapevole dei suoi denti blu, mio nonno ritorna fra gli amici e  ridono tutti insieme soddisfatti. (C'era del puro gaudio sul suo volto quando lo raccontava a decenni di distanza).
Quante volte vorrei avere anche io del blu di metilene a disposizione!!!
Ma torniamo a lui, che cresce e conosce Maria Luisa, mia nonna.
Mia nonna deve essere stata il suo opposto, una ragazza dolcissima ed educata, figlia unica di una famiglia benestante, abituata a regole e galateo... eppure anche lei con quel pizzico di spirito di ribelle che, seppur soffocato dalla rigidità famigliare, a volte riusciva ad uscire: quando presa dalla noia di una casa "vuota" senza fratelli e con tante regole tagliava di nascosto i pizzi delle tovaglie, o quando arrampicata su un albero e nascosta fra le foglie urlava "Scimmun!" (scimmione) al maestro che passava sotto. ( mi sa che dalla notte dei tempi gli insegnanti non hanno mai fatto una bella vita!:) ).
Mi piace pensare che siano state queste due scintille di ribellione ad averli fatti innamorare.
Armando e Maria Luisa (Nonna Marisa, per me), si sposano nella piccola cappella dentro la villa di famiglia di lei, a Carasco.  Ed è proprio in questa casa che tutta la famiglia, compresa tutta la famiglia del nonno, si rifugiano durante la seconda guerra mondiale.

A fine agosto del 44 nasce il primo figlio, Gianpaolo.
Un giorno Armando va a Chiavari per lavoro, ma viene preso ( forse perché fa l'orefice, forse per qualche traffico strano che ha creato..) e finisce in un campo di detenzione (In Germania se non sbaglio).
Ma non c'è un cazzo da fare (vogliate scusare il francesismo), Armando riesce a trovare la scappatoia anche in questo caso. Viene a sapere che un comandante tedesco (o qualcosa del genere) soffre di mal di denti e deve estrarre un dente del giudizio e , senza pensarci due volte, dichiara di essere un dentista (d'altronde qualche volta ha visto di attrezzi da lavoro di suo fratello Luigi) e si offre di fare l'estrazione. Il tedesco estrae la pistola e la poggia su un tavolo da lavoro, gli intima di fare bene il suo lavoro, e si siede su una sedia lì vicino. Mio nonno gli fa bere un goccio di grappa o qualche alcolico che gli "anestetizzi" la bocca e .. con delle normali pinze da lavoro, gli estrae il dente.
Da quel giorno mio nonno gode di vantaggi e privilegi nel campo, lo hanno preso a benvolere. Riesce a scrivere anche alcune lettere a casa, per avvisare della sua salute e chiedere notizie dei fratelli, della moglie, del figlio.

Quando (molto dopo?) mio nonno viene liberato (o scappa?) riparte a piedi per un lunghissimo ritorno verso casa, attraversando i campi, nascondendosi a dormire in casolari e baracche e affrontando non so quali altre avventure ed avversità.  Rientra in Liguria, sfruttando forse qualche viaggio in treno, ma muovendosi a piedi per la maggior parte del tragitto. Arriva finalmente alla sua terra ( immagino il suo cuore che batte velocissimo in attesa di rivedere la sua famiglia), risale la collina di Carasco, imbocca il sentiero di casa e poi improvvisamente decide di voler fare una sorpresa ed invece che entrare dal cancello di ingresso ufficiale, usa quello retrostante. La fortuna lo ha assistito un'altra volta; scopre poco dopo che se avesse imboccato il vialetto frontale sarebbe saltato in aria, perché il sentiero è minato. Suo fratello nelle lettere si è scordato di avvisarlo.
Quanto sarebbe stato crudele morire a 10 passi dal giardino di casa? Forse è proprio vero che la fortuna aiuta gli audaci, e grazie al cielo mio nonno è sempre stato un audace o io adesso non starei scrivendo queste righe. Io non esisterei, mia mamma non esisterebbe.
Mia mamma è nata a guerra finita, il 18 settembre 1947.

Dopo la guerra, si sa, c'è un periodo di ricrescita sempre maggiore. Mio nonno riprende l'attività di orefice, con un socio  apre un negozio in caruggio a Chiavari e uno in galleria a Rapallo. Il benessere in Italia aumenta, ci sono tante nuove invenzioni. Un bel giorno in casa Spinetto sarà entrato un televisore in bianco e nero, la famiglia si sarà trovata unita  a guardare il "carosello", qualche volta saranno andati a teatro, poi al cinema, a volte a fare qualche gita o vacanza di famiglia.
I bimbi crescono , ma Armando è un papà severo e rigido e non sempre è facile amarlo. E' un uomo da carota e bastone.. senza mezzi termini. E' difficlissimo continuare a volergli bene quando conosce un'altra donna e fa soffrire sua moglie. Quando manda la figlia (la mia mamy) in "collegio" da una vecchietta a Genova, quando critica ferocemente le scelte dei figli. Non è un carattere facile. Non lo è per nulla.

Comunque, arriva il giorno in cui mia mamma si sposa, quello in cui nasce mio fratello Alberto, quello in cui, modestamente, nasco io e poi arriva Fabrizio. Armando è "il nonno Armando".
E' un nonno scherzoso che un po' c'è un po'no,( a volte partiva per dei viaggi anche di un mese o più, andava in Sud America, alle Canarie...gli piaceva viaggiare!)  E' il nonno che ci ripara la bicicletta quando si rompe, che ci chiama (soprattutto i miei fratelli per questo) ad andare ad aiutarlo in cantina per imbottigliare il vino, è il nonno che non butta via niente, come le vere persone "di una volta", che con quattro pezzi di legno crea tavolino, banchi da lavoro, carrelli e mille e mille invenzioni assurde. Invenzioni che hanno questa peculiarità non hanno alcuna cura per l'estetica, ma sono estremamente pratiche! (quanto mi condizionerà questa sua filosofia!!!). Era il nonno che ci portava alla famosa casa di Carasco per montare astruse invenzioni, bruciare vecchi mobili, rompere cose per crearne delle nuove. Da piccola tutto questo mi appassionava, da ragazzina e da ragazza non volevo mai rispondere al telefono di casa perché temevo che fosse lui e chiunque avesse risposto al telefono sarebbe stato precettato ai lavori con un "Seeeenti un po', c'avrei un lavoretto da fare....", era una silenziosa lotta fra me e i miei fratelli a non farsi "incastrare".  A volte si stava ore a inchiodare, incollare, attaccare, staccare per ottenere degli oggetti obrobriosi che poi venivano portati in casa per il suo comodo ed odiati da tutta la famiglia. Come il rialzo per la sua poltrona, quello del wc, il suo bidet portatile (no comment!) o decine e decine di altre invenzioni.

La paga per i servigi offerti era di solito un sacchetto di cioccolatini ormai scaduti recuperati man mano nei piattini di tutti i caffè bevuti al bar Defilla.
Certe volte era talmente tirchio che anche il suo regalo di Natale erano i cioccolatini vecchi, altre volte era generossissimo e magari ti regalava dal niente 50.000 lire.

Ma il regalo più bello che lui mi abbia mai fatto per me rimane questo:
quando ero bimba un'estate eravamo andati a trascorrere un mese alla casa di Carasco, io avevo il "Bebello" un bambolotto che gattonava e muoveva la testa, lo avevo desiderato a lungo e finalemnte lo avevo avuto. Gli si staccava spesso la testa ma era facilmente riincastrabile ma un giorno mi si era rotto proprio definitivamente. Piangevo disperatamente. Poi, ricordo benissimo la scena, mio nonno la preso il bambolotto, lo ha appoggiato sul tavolone di legno scuro della sala, ha preso i suoi strumenti ed ha iniziato a lavorare per ricreare i collegamenti elettrici e riparare i pezzi di plastica rotti (mitica super attak). Io lo guardavo lavorare alternando pianti a momenti di tensione e curiosità per il suo lavoro ma mantenevo una certa distanza, rispettosa del momento delicato, come mio nonno fosse stato un grande chirurgo nel bel mezzo di un'operazione a cuore aperto. Ci ha messo un tempo per me quasi interminabile, ma poi l'ho visto riinserire la testa di gomma tutta capelluta del mio Bebello, gli ha chiuso il tutone azzurro, lo ha messo sul tavolo girato a pancia in giù e ha mosso l'interruttore per accenderlo.. e quello ha iniziato a gattonare e girare la testa! In quel momento mi sono sentita come una mamma cui ridonino il figlio curato. In quel momento ho visto mio nonno come un eroe ed ho pensato "questo momento non lo dimenticherò mai!". E così è stato, il ricordo di quel pomeriggio mi emoziona ancora oggi!
Forse è dal quel pomeriggio che io amo aprire le cose, vedere come sono fatte, come funzionano, voglio provare a ripararle prima di buttarle via o recuperarne pezzi che potrebbero servire. E' in seguito alle giornate passate con lui che ho la passione per cacciaviti e chiavi inglesi, che ho passato l'adolescenza a smontarmi il motorino, che mi piace smontare roba, crearne altra. Credo che questo mio spirito mio nonno lo abbia visto, e che gli piacesse.

Il giorno più cupo invece è stato una volta in cui (già ragazzina) ero andata ad aiutarlo in casa sua e di mio zio per fare non so cosa con videoregistratore e tv, lui mi aveva detto qualcosa di critico contro mia mamma (una cosa abbastanza futile ed insignificante ,tra l'altro) ed io mi ero arrabbiata tantissimo. Gli ho risposto, arrabbiata. Per un po' ci siamo risposti a vicenda, alzando anche i toni. Gli ho detto che non poteva offenderla, che era mia mamma e io la avrei difesa sempre e comunque. Gli devo aver detto anche qualcosa di cattivo su di lui. Lui per un po' è rimasto in silenzio, probabilmente stupito di vedersi di fronte un piccolo leoncino con il carattere di merda come il suo, lo ho offeso profondamente e credo di averlo anche fatto piangere. Ma poi, improvvisamente, qualcosa è cambiato e mi ha detto "Ti voglio bene", gli ho risposto "Anche io" e ci siamo abbracciati piangendo. E' stata l'unica volta in cui ce lo siamo detti ed anche in quel caso ho pensato, "questa cosa la ricorderò per tutta la vita, e sicuramente la ricorderò nel giorno del suo funerale". (E' stato così). E' un episodio che rivivo sempre con grande dispiacere per averlo offeso, ma ne sono contenta perché credo tutto sommato quel giorno di aver "guadagnato punti" ai suoi occhi. Deve aver visto in me SUA NIPOTE.
Ma io per la prima ed unica volta ho pensato di sopraffarlo, l'ho visto piccolo e mi sono sentita una cacca e forse lui da quel giorno mi ha voluto ancora più bene.

Negli anni ha continuato a chiedermi collaborazioni e favori, quando prendevo la patente voleva insegnarmi lui a guidare, con la sua tecnica del "parcheggio ad orecchio" , e cioè "entri in retro, quando senti una botta, sei arrivato!". Lui ha guidato fino a ben oltre i 90 anni.. un pericolo pubblico!

Non c'era verso di "fermarlo". anche da vecchio imparava tutto in un attimo,ha visto ilnuovo millennio, l'arrivo dell'euro, il computer, riusciva ad utilizzare qualsiasi apparecchio appena uscito. Era un curioso e un entusiasta della vita.

Quando veniva a pranzo la domenica o nelle festività, lui era l'anima della giornata. faceva battute, scherzava, raccontava gaudente avvenimenti tipo quello del blu di metilene, si metteva le mie maschere di halloween o chissà cosa per fare foto buffe. Era un "burlone". Ho preso da lui nel non prendermi troppo sul serio, ma non ho la sua verve.
A volte faceva fare delle figuracce tremende, ci invitava a pranzo al Monterosa e quando vedeva un certo conoscente ai tavoli vicini ci diceva ad alta voce: "oh guarda, c'è il cornuto!" (era un signore che rientrando a casa aveva trovato la moglie a letto con un altro).
Ma non basta mica, lui aveva soprannomi carini per tutti, oltre a "il cornuto" c'erano "la racchia","la sdentata" e così via. Io, invece, fin da piccola ero "Pimmia" (scimmia) per le mie orecchie a sventola presumo.

Quando ho iniziato a lavorare in nave gli ho portato un peluche a forma di scimmietta perché mi pensasse.  Ma lui ha fatto di più, all'eta di 96 anni, un giorno in cui la mia nave(dopo due mesi che ero per mare) ritornava per qualche ora nel porto di Genova, lui è venuto a trovarmi a Genova e siamo andati a pranzo tutti insieme con la mia famiglia, i miei amici e lui.
Diceva che sono una zingara. al ritorno da un imbarco sono andata a trovarlo in ospedale e gli ho detto che sarei ripartita due mesi dopo per un nuovo imbarco, lui ha guardato mia  mamma e le ha detto "strappale la carta d'identità!".

Questo era mio nonno, un angelo e un diavolo.
Quando da anziano passava i pomeriggi seduto ai tavolini esterni del Defilla a parlare con gli amici, e mi vedeva passargli davanti,DOVEVO per forza mangiare un gelato offerto da lui.
La cosa triste è stata vederlo rimanere sempre più solo, i suoi amici fratelli sono mancati tutti prima di lui, e così i suoi amici del bar e quando lo vedevo seduto da solo al suo solito tavolino, sentivo una tristezza infinita.

Nel 2006 è nato Edo, Armando è diventato bisnonno!
Quando negli ultimi mesi il nonno era malato e stava a casa io facevo fatica ad andare a trovarlo, non riuscivo a vederlo soffrire. Un giorno (io non c'ero) ero seduto sulla poltrona in casa e sono andati a trovarlo portando Edoardo che aveva poco più di un anno e giocava montando e smontando qualcosa. Il nonno orgoglioso ha detto" Ci vedo un po' di me in quel bimbo!".

Il nonno, l'Armando, ci ha perculati anche la sera prima di morire. Doveva fare un'iniezione o prendere una medicina ed è stata una lotta vincere noi. Solo Fabrizio è riuscito nell'intento.

Purtroppo tutto ha una fine, e purtroppo il nonno non ha raggiunto la sua agognata meta dei 100 anni. Sono SICURA che sia incazzato nero di essere morto, lui amava la sua vita.

Quando è mancato io ho preso una sua cosa, il suo trapano.
E' vecchio e malconcio, gira piano e qualche anno fa per Natale me ne sono fatta regalare uno nuovo da mio papà, ma quello non lo butto. Ogni tanto guardo la valigetta blu, dentro c'è il trapano, con la modifica al cavo fatta da mio nonno.


A volte, quando vedo quelle foto in bianco e nero della Chiavari antica, di inizio 900, con le strade di terra, poche case e le carrozze in piazza, cerco la figura di qualche bambino in pantaloncini corti, giacca, berretto e piedi nudi o scarpe del giorno di festa e spero di vederci mio nonno che gioca a biglie o alla "lippa". . Poi lo rivedo a 97 anni e mi stupisco a ricordarlo telefonare col cellulare e a pensare quanta vita è passata dai suoi occhi, dalle sue gambe, dalle sue mani.
Non c'è storia, non credo ci sarà mai una generazione che vedrà i cambiamenti che ha visto la generazione di mio nonno. QUELLA GENERAZIONE sarà per sempre la più coriacea, la più forte, la più stupefacente, la più fica di tutti i tempi!

E mio nonno, quella grandissima testa di xxxxx, è per me il più fico fra i fichi.

Mi manca tanto ma "c'è qualcosa di lui in me"!